Voi sapete come è fatta una parrocchia nella nostra diocesi: c’è la chiesa, la casa parrocchiale, spesso la grotta della Madonna di Lourdes, l’oratorio e spesso la scuola d’infanzia. E in oratorio non può mancare il campo di calcio. La comunità cristiana esprime così il suo desiderio di accompagnare la crescita complessiva dei ragazzi e delle ragazze: la preghiera e la cultura, il gioco e la celebrazione.
Per questo mi permetto di scrivere a voi, allenatori, mister, coach: desidero esprimere l’auspicio e l’invito a essere alleati per la crescita dei ragazzi e delle ragazze che praticano lo sport: forse ne verrà qualche campione, ma certo il servizio più importante è che ne vengano uomini e donne che rendano migliore il mondo.
Mi rivolgo a voi perché voi siete coscienti della grande responsabilità che avete. Finché lo sport si pratica in oratorio come un tempo di libertà, all’animatore non si dà neanche retta. Ma quando un ragazzo o una ragazza si iscrive in una squadra, riceve la borsa e la divisa, passa la visita medica, allora, specie in alcune età della vita dei ragazzi, l’allenatore diventa l’autorità indiscutibile, l’allenamento diventa l’appuntamento irrinunciabile, “la partita” diventa l’evento centrale della settimana.
Perciò molti ragazzi dipendono da voi, vi ascoltano, accettano senza discutere gli ordini, dipendono da voi persino per quello che si deva mangiare. Avete quindi una straordinaria possibilità di collaborare alla educazione dei vostri giocatori: lo sguardo attento, infatti, riconosce le qualità e anche le problematiche caratteriali, indovina anche le trasgressioni e le stanchezze inspiegabili, raccoglie confidenze che un ragazzo forse non rivela a nessun altro. Quanto bene può fare un allenatore che sa ascoltare, che sa consigliare, che sa correggere con decisione e discrezione!
In proporzione della vostra autorità ci sono poi le famiglie con tutte le loro pretese.
Senza capire niente delle dinamiche di squadra, i genitori non ammettono discussioni sul fatto che il figlio deve essere titolare, che deve giocare in quel tal ruolo e che deve essere notato come una promessa per il calcio, o quello che sia. E per ogni sconfitta se la prendono con voi.
Io immagino che voi, stretti tra responsabilità verso i ragazzi e pretese dei genitori, siate talvolta in imbarazzo. Si affacciano allora le “tentazioni dell’allenatore”:
1. la tentazione di essere crudelmente selettivi, mortificando e umiliando i ragazzi meno dotati;
2. la tentazione di disprezzare tutto quello che non serve per vincere, dimenticando che i ragazzi per una crescita completa devono anche fare i compiti, andare a catechismo, partecipare alla Messa della domenica, dare una mano in casa;
3. la tentazione di esasperare la competizione, insegnano anche le cattiverie che fanno male e trattano l’avversario come un nemico.
Vi propongo perciò un’alleanza, cioè un mettere insieme le intenzioni e i problemi, le difficoltà e le risorse: la comunità cristiana ha una lunga esperienza di educazione sportiva ed è – come diceva Papa Paolo VI – esperta di umanità, voi avete una competenza e una autorità che vi esalta e insieme vi pone questioni difficili.
L’alleanza potrebbe essere quel trovarci per condividere le esperienze, affrontare le questioni, ragionare sui metodi, tentare percorsi. In questa alleanza non possiamo non coinvolgere i genitori: sono loro i primi, determinanti educatori. Devono però essere aiutati a illudersi: non è detto che in casa loro sia nato un campione. Devono essere aiutati a dominare le reazioni istintive e l’aggressività: il campo di calcio non è un campo di battaglia.
Credo che insieme abbiamo la possibilità di un cammino promettente, che nessuno abbia la ricetta infallibile e che tutti saremo contenti se dall’alleanza tra genitori, allenatori, educatori della comunità cristiana potranno maturare uomini e donne di qualità. Se poi ne verrà qualche campione, faremo festa con lui e metteremo dappertutto la sua foto di “quando giocava in oratorio”.
+ Mario Delpini Arcivescovo di Milano