Carissimi avete scelto di inserire vostro figlio o vostra figlia in una attività sportiva inserita in una comunità cristiana: vi esprimo gratitudine per la fiducia e per l’attenzione che dedicate alle proposte educative di cui la Chiesa si fa carico anche con le attività sportive e l’impegno per organizzarle.
Qualche volta vi lamentate perché vi tocca dedicare il poco tempo disponibile a “fare il taxista”, qualche volta vi dispiace che l’unico momento libero della domenica sia impegnato per assistere alla gara, “visto che il bambino ci tiene tanto”.
In sostanza, però, siete contenti perché vedete il ragazzo, o la ragazza, così coinvolti in una attività sana, in una pratica sportiva ispirata al buon senso e ai valori che favoriscono lo sviluppo complessivo della persona.
Come sperimentate quando assistete a una gara o a una partita, ci sono i “genitori-spettatori”. Sono lì, ma sono altrove. Non sono interessati a quello che succede in campo: eseguono un dovere, sembrano forzati. Di tanto in tanto alzano la testa per vedere dov’è il figlio, ma per lo più hanno gli occhi fissi al cellulare, ricevono e scambiano messaggi oppure chiacchierano con altri genitori-spettatori e aspettano che la gara sia finita.
Non sono di grande aiuto né per i loro figli, né per l’organizzazione, né per i dirigenti e gli allenatori. Che si tratti di una organizzazione legata alla comunità cristiana, o di una qualsiasi, non li interessa molto: hanno accontentato il ragazzo.
Non riescono neppure a lasciarsi contagiare dall’entusiasmo del giovane atleta trionfatore e neppure dalla tristezza dello sconfitto: “Sono cose da ragazzi, ci sono ben altri problemi nella vita”.
Sì, è vero, ma l’indifferenza fa solo male.
Ci sono anche i “genitori-tifosi”. Forse sfogano dagli spalti il nervosismo e le emozioni represse da una settimana; forse proiettano sulle imprese del figlio, o della figlia, il sogno di un successo, l’immagine di un campione, l’aspettativa di una gloria. Gridano con tutta la voce, dicono tutte le parole, anche quelle offensive e volgari, si arrabbiano e si entusiasmano. Sono inclini al litigio: hanno parole aggressive per l’arbitro, per i ragazzi della squadra avversaria, per i loro genitori. Hanno consigli da dare e pretese insensate nei confronti dei dirigenti e degli allenatori: spiegano dove deve essere valorizzato il loro figlio e non vogliono sentire ragioni. Giustificano i suoi errori e vantano le sue qualità immaginarie. Trasformano il campo di gioco in un campo di battaglia.
Il lunedì tornano in ufficio come impiegati modello, ma quale è stato il loro contributo educativo?
Ci sono i “genitori-educatori”. Hanno a cuore i loro figli. Non investono i loro figli di aspettative fantastiche e non pretendono da loro compensazioni per le loro frustrazioni. Hanno a cuore i figli e la loro vocazione. Perciò fanno alleanza con tutti coloro che li seguono nelle varie attività. Stabiliscono alleanze con gli insegnanti della scuola, con i catechisti della parrocchia, con gli allenatori degli sport. Sono convinti che “per educare un bambino ci vuole un villaggio”. Credono che sia la comunità nel suo insieme a far crescere ogni persona, anche il loro figlio o la loro figlia.
I genitori-educatori sanno di non essere perfetti e di non avere ricette per tutto, ma sono ben radicati nei valori essenziali. Perciò anche nella pratica sportiva riconoscono un contributo importante per lo sviluppo fisico, per la disciplina delle energie, l’educazione della volontà, la capacità di stabilire e sviluppare relazioni di collaborazione, di amicizia, di spirito di squadra.
I genitori-educatori hanno “fiuto” e apprezzano i bravi allenatori che curano l’educazione e non esagerano nello stimolare competitività, che sanno incoraggiare i campioni senza esaltarli e sanno dire a un ragazzo i suoi limiti senza umiliarlo.
I genitori-educatori credono che lo sport sia molto importante per un ragazzo e per una ragazza, però sanno che non è tutto: ci sono anche cose più importanti.
Carissimi genitori, ho descritto tre modelli di presenza dei genitori nella pratica sportiva dei figli: è chiaro che si tratta di tre caricature, in cui ho esagerato i difetti ed esaltato le virtù.
Ciascuno forse ha in sé un po’ di tutti e tre i “tipi”. Ma lo scopo di questa lettera è quello di esprimere l’auspicio che i genitori siano “genitori-educatori” e trovino nelle attività sportive collegate con la comunità cristiana un aiuto per la loro missione e un contesto sereno, stimolante, divertente e – naturalmente – educativo.
Con ogni benedizione e con ogni buon augurio
+ Mario Delpini Arcivescovo di Milano